I genitori dei ragazzi e bambini che tratto mi chiedono spesso un consiglio su quale sia lo sport più adatto al loro figlio/a considerando i problemi che hanno quali ad esempio scoliosi, cifosi, iperlordosi.
Suggerisco sempre in particolare sport di allungamento, quali pallavolo o basket, e sport che sviluppino la propriocezione, cioè la consapevolezza del sé corporeo come ad esempio karatè, kung fu e aikido.
In passato ero molto fiduciosa nei confronti di tutte le società sportive, certa che oltre all’esercizio fisico curassero anche l’aspetto psicologico che sottende alle varie discipline sportive.
Con il passare del tempo però con grande rammarico mi sono resa conto che alcune società di sport di squadra non curano l’aspetto psicologico ed educativo dei ragazzi.
Ho saputo dai piccoli atleti/pazienti che alcune squadre puntano solo a vincere per salire di categoria o per mantenere un buon livello raggiunto.
In questa corsa verso ‘la vetta’ (serie A) si perde di vista il singolo atleta; quindi l’allenatore cura e lavora per migliorare la tecnica di chi fa vincere la squadra trascurando chi non riesce a fare punti.
Quindi il coach fa giocare le partite solo a quelli ritenuti bravi, che in questo modo si perfezioneranno sempre più, aumentando il divario con coloro che sono meno bravi, che viceversa stanno in panchina durante intere partite e se entrano in campo è solo per pochi minuti (mi chiedo a quale scopo).
L’animo di questi fanciulli, non valorizzati e non seguiti adeguatamente da parte dell’istruttore soffre enormemente, portando dei segni, che vengono definiti dagli psicologi ‘le scritte sui muri’.
Talvolta la situazione è aggravata da genitori frustrati che proiettano sul figlio/a il proprio desiderio di successo, che a loro volta non hanno primeggiato quando erano bambini o adolescenti.
Quindi durante le partite ci sono tifoserie di genitori che non incitano la squadra ma solo il proprio pargoletto, dimostrando la propria ottusità perché non comprendono che nel gioco di squadra è il gruppo che vince o che perde.
Alcuni genitori considerano membri della squadra solo i ragazzi che giocano le partite escludendo coloro che stanno in panchina, quindi alle feste di compleanno vengono invitati solo quelli che giocano.
Inoltre in qualche società a parità di età tra componenti delle squadre ci sono 2 squadre una ritenuta migliore, che ha l’allenatore professionista e qualificato e l’altra dove giocano quelli meno emergenti allenati da un allenatore ‘improvvisato’, ai quali implicitamente viene passato il messaggio di essere perdenti. I genitori delle due squadre spesso vivono la competizione più dei figli.
Il far parte di una squadra dev’essere vissuto attivamente da tutti i componenti e tutti devono avere la stessa possibilità di giocare di mettersi alla prova in campo, con un allenamento mirato, che possa aiutare il singolo atleta a superare le proprie paure, la timidezza, acquisendo autostima fiducia in sé stesso e migliorandola prestazione tecnica.
Quindi in qualità di fisioterapista suggerisco ai genitori di evitare società sportive che hanno un siffatto comportamento verso i propri atleti, che porta ad una svalutazione del soggetto.
Lo sport deve favorire la crescita personale, lo spirito di aggregazione, l’amicizia, la solidarietà, il rispetto e l’educazione. Valori universali ed eterni!